Market Views

GLOBAL CREDIT BULLETS | Lunedì 5 settembre 2022

Gas russo – Chiusura in vista del piano di salvataggio.
Nella tarda serata di venerdì, Gazprom ha annunciato che i flussi di gas verso l’Europa provenienti dalla piattaforma NordStream 1 non riprenderanno dopo la manutenzione a causa di un’imprevista perdita di petrolio. La misura è stata adottata dopo che i leader del G7 hanno annunciato un limite massimo per il petrolio russo e prima di una riunione di emergenza europea per la sicurezza energetica (prevista per venerdì), in cui potrebbe essere discusso un massimale per i prezzi del gas.

Questo annuncio rappresenta un passo avanti verso l’atteso “arresto totale” del gas russo in vista dell’inverno, che il mercato aveva interpretato in estate come il principale scenario ribassista. Sebbene lo sviluppo sia negativo, riteniamo che l’Europa si trovi molto più preparata ad affrontare questa situazione rispetto a un paio di mesi fa. L’Italia e la Germania, i due Paesi più esposti, dispongono ora di stoccaggi pieni per l’80-90% della capacità. I flussi russi restano importanti, ma comunque operavano al 20% della capacità. Pertanto, la riduzione effettiva rispetto allo status quo è inferiore a quella percepita. Inoltre, tutti i Paesi stanno già attuando una forma di distorsione della domanda. La Germania ha diminuito il consumo di gas del 15% circa, mentre l’Italia del 3-4%. In base ai nostri calcoli, gli attuali trend di distruzione della domanda garantiscono un esaurimento ragionevole degli stoccaggi durante l’inverno, anche nel caso di un flusso prolungato dalla Russia. L’inverno 2022/23 sarà veramente importante per la sicurezza energetica, poiché il fabbisogno a medio termine sarà più coperto man mano che i Paesi investiranno in alternative al gas russo.

Vediamo dunque la situazione concreta come più impegnativa, ma non disperata, dal momento in cui i Paesi hanno svolto un adeguato lavoro di preparazione. Anche la politica fiscale sta arrivando in soccorso, alleviando l’impatto su imprese e famiglie. Il vertice di venerdì permetterà di fare maggiore chiarezza sulle iniziative di sostegno e fiscali per l’inverno e sulle ulteriori iniziative per cercare di contenere la dipendenza energetica dalla Russia.

Dati USA – Meno occupazione e prezzi in calo.
I dati sull’occupazione negli Stati Uniti di venerdì hanno indicato che le condizioni macro statunitensi si stanno ammorbidendo, sebbene a un passo molto lento. I mercati del lavoro non hanno pertanto fornito un segnale particolarmente aggressivo, a differenza di luglio, quando l’aumento dei posti di lavoro ha registrato un vero e proprio boom. Il dato lascia aperta la possibilità di un rialzo di 50 o 75 pb a settembre, anche se aumenta leggermente le probabilità di un rialzo più contenuto. Il dato dell’indice dei prezzi al consumo di agosto, il 13 settembre, diverrà il parametro principale per la prossima riunione della Fed.

L’indice Nonfarm Payrolls (salariati del settore non agricolo) si è attestato a 315 mila, vicino al consenso di 298 mila e inferiore ai 526 mila di luglio. Il tasso di disoccupazione è salito al 3,7%, superiore al consenso del 3,5% e la retribuzione oraria media è aumentata dello 0,3%, al di sotto del consenso che prevedeva un aumento dello 0,4%. Nonostante la crescita dei posti di lavoro sia ancora superiore a quella dei tempi pre-pandemici, in cui la tendenza era di circa 230 mila al mese, la Fed può considerare questo rallentamento in modo leggermente più accomodante. La risposta del mercato a questi dati ha portato a un inasprimento dei tassi e a un irripidimento della curva, con un abbassamento della parte corta della curva stessa.

Inoltre, i dati ISM (Indice manifatturiero dell’Institute of Supply Management) della scorsa settimana evidenziano un leggero allentamento delle pressioni inflazionistiche, con i prezzi retribuiti in calo di 8 punti rispetto a luglio. Anche i prezzi delle materie prime (escluso il gas) e le dinamiche della catena di approvvigionamento indicano una riduzione delle pressioni inflazionistiche, aprendo la strada ad un secondo calo mensile dell’inflazione statunitense la prossima settimana.

Inflazione UE – Nessun sollievo: la BCE si fa aggressiva.
L’inflazione in Europa continua a crescere, come conseguenza dell’aumento dei prezzi del gas. La Banca centrale europea non avrà altra scelta se non quella di aumentare il tasso di deposito di 75 pb questa settimana e di mantenere una retorica da falco.

Ad agosto l’inflazione complessiva dell’Eurozona è aumentata di 0,2 punti percentuali, attestandosi al 9,1%, leggermente al di sopra del consenso del 9,0% e dell’8,9% di luglio. L’inflazione core è aumentata al 4,3%, dal 4,0% di luglio, al di sopra del 4,1% del consensus. L’inflazione energetica è diminuita di 1,3 punti percentuali al 38,3%, rimanendo comunque elevata. Nel resto del mondo, l’inflazione dei prodotti alimentari, alcolici e tabacco è salita al 10,6%, dal 9,8% di luglio, e probabilmente raggiungerà presto il 12%. Nella componente core, l’inflazione dei beni è cresciuta di 0,5 punti percentuali al 5,0%, mentre l’inflazione dei servizi è aumentata di 0,1 punti percentuali, al 3,8%.

I dati sull’inflazione della scorsa settimana hanno confermato la nostra opinione secondo cui la BCE dovrà incrementare significativamente le proiezioni sull’inflazione nella riunione di settembre, il che a sua volta costringerà la Banca a mantenere un atteggiamento aggressivo anche dopo settembre: al momento i prezzi di mercato prevedono un continuo aumento dell’inflazione annuale fino a raggiungere il 9,7% a dicembre. La nostra previsione di un rialzo di 75 pb per la riunione di settembre sembra ormai completamente ovvia e crediamo che la BCE effettuerà il rialzo indipendentemente dalla fonte dell’inflazione per salvaguardare la spirale salariale e le aspettative di inflazione, anche se guidata dall’offerta di energia. Il tasso di policy della BCE, secondo il mercato, è ora vicino all’1,6% per la fine dell’anno, con picchi più vicini al 2,2% nell’estate del 2023.

Cina – Chiusure in vista del Congresso del Partito
A seguito di un nuovo focolaio di Covid la scorsa settimana, Chengdu, la quarta città più grande della Cina con una popolazione di 21 milioni di abitanti, è soggetta a nuove misure restrittive che prevedono controlli di massa e la necessità di presentare test negativi per lasciare la città. La metropoli cinese è entrata in lockdown dopo la segnalazione di 157 nuovi casi. Si tratta della più grande chiusura dopo le restrizioni di Shanghai. Sebbene la situazione di blocco non provocherà probabilmente una battuta d’arresto simile a quella di Shanghai, riteniamo che vi siano dei rischi di un impatto diffuso sul sentiment che amplifichino i danni al di fuori del colpo diretto all’attività.

Le prospettive di crescita per la seconda metà del 2022 sembravano già impegnative, in parte a seguito delle chiusure motivate dalla politica cinese Covid Zero. Tuttavia, la politica è stata adottata appositamente in vista del Congresso del Partito Comunista, previsto per il 16 ottobre, poiché l’attuale dirigenza ha posto il Covid Zero come obiettivo chiave da raggiungere entro quella data. Tutti i provvedimenti di blocco introdotti finora sono rigorosi ma di breve durata, il che suggerisce un possibile forte allentamento dopo la fine del Congresso.


Algebris Investments’ Global Credit Team

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