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COP26: cosa c’è da sapere

Al termine della conferenza COP26 delle Nazioni Unite, ecco un breve riassunto dei principali risultati di due intense settimane di discussioni e negoziati sulla sfida al cambiamento climatico. Se da un lato la conferenza ha riaffermato l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, le decisioni politiche prese a Glasgow non sono ancora sufficienti a raggiungere tale obiettivo.

Il contesto

La temperatura globale è già aumentata di 1.1 °C rispetto ai livelli preindustriali, a causa delle attività indotte dall’uomo. Dal 2010 al 2019, le emissioni di GHG hanno continuato a crescere in media dell’1,3% all’anno e nel 2019 le emissioni sono state di ~60 Giga-tonnellate di CO₂, incluse le emissioni dovute al cambiamento dello sfruttamento del suolo, e di cui 2/3 legate ai combustibili fossili. Nonostante una pandemia globale con dure restrizioni alla libertà di movimento, si stima che le emissioni complessive del 2020 siano inferiori solo del 5,4% rispetto al 2019 in termini assoluti. Il nostro Carbon Budget – la CO₂ rimanente che possiamo emettere nel tempo per evitare che la temperatura aumenti oltre 1,5°C – è di 400 GtCO₂, equivalenti a ~11 anni di emissioni ai livelli del 2019.

Il patto di Glasgow per il clima

Nel Glasgow Climate Pact finale, i 197 paesi partecipanti hanno concordato una serie di impegni che, nonostante siano stati conclamati, non sono ancora sufficienti a rallentare il riscaldamento globale. Ecco il nostro punto di vista sugli articoli più degni di nota.

  1. È stato ribadito l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 °C, o comunque ben al di sotto dei 2°. Ciò richiederà una riduzione delle emissioni di CO₂ del 45% entro il 2030. Un’analisi effettuata dal Climate Action Tracker suggerisce che gli obiettivi per il 2030 risultano inadeguati: gli attuali obiettivi per il 2030 (senza impegni a lungo termine) ci mettono sulla buona strada per un aumento della temperatura di 2,4° C entro la fine del secolo. Pertanto, i governi dovranno riconsiderare i propri obiettivi e piani di riduzione delle emissioni (Nationallly Determined Contributions, NDC), e aumentare le proprie ambizioni. La decisione di Cina, Giappone e Corea di fissare piani e obiettivi intermedi per il 2030 è stata una sorpresa positiva e circa il 90% delle emissioni è ora coperto dagli obiettivi net zero. Tuttavia, anche se tutti gli impegni annunciati per il net zero venissero attuati, si permetterebbe comunque alla temperatura di aumentare fino a 1,8°C entro il 2100, secondo le stime del Climate Action Tracker (immagine 1).
  2. L’impegno sul carbone è positivo, ma più debole di quanto richiesto dal rapporto dell’International Energy Agency (IEA) 2050 Net Zero. Il patto di Glasgow per il clima include un impegno ad “accelerare gli sforzi verso l’eliminazione graduale dell’energia a carbone unabated e degli inefficienti sussidi ai combustibili fossili”. È un segnale positivo che va nella giusta direzione, ma il respingimento all’ultimo minuto da parte di Cina e India ha portato ad annacquare quello che inizialmente era un impegno molto più forte (per “eliminare gradualmente” piuttosto che per “ridurre gradualmente”). Inoltre, nonostante l’IEA 2050 Net Zero raccomanda che dal 2021 in poi non vengano approvate nuove centrali a carbone unabated e nessuna nuova miniera di carbone o espansioni di miniere già esistenti, nel patto per il clima di Glasgow non esiste una tempistica precisa per l’abbandono del carbone.
  3. L’impegno a ridurre le emissioni di metano è importante, ma le resistenze sono ancora significative. A Glasgow 105 Paesi si sono impegnati a ridurre le emissioni di metano (CH₄) del 30% rispetto ai livelli del 2020. Le emissioni di CH₄ sono il secondo maggior contributore del riscaldamento globale, inoltre il metano si degrada rapidamente, rimanendo nell’atmosfera solo per dodici anni, a differenza di centinaia di altri gas. Ciò significa che un serio impegno per ridurre le emissioni di CH₄ potrebbe mostrare i suoi effetti sulla temperatura del pianeta molto rapidamente. L’obiettivo proposto a Glasgow potrebbe ridurre di 0,2°C il riscaldamento globale entro la metà del secolo, il che potrebbe fare una differenza significativa nella gravità e nella frequenza degli eventi climatici estremi. Si prevede che quest’anno l’UE proporrà una legislazione sulle emissioni di metano generate dai fornitori di gas e, secondo quanto riferito, gli Stati Uniti stanno lavorando a regolamenti che imporranno una tassa sul metano ai produttori di petrolio e gas. Tuttavia, i principali responsabili delle emissioni, quali Cina, Russia e India, che insieme generano circa un terzo delle emissioni di metano, non hanno firmato tale accordo.
  4. Sebbene sia stata dedicata molta attenzione al sostegno finanziario dei paesi sviluppati alle nazioni in via di sviluppo, il divario finanziario per il clima è ancora incolmato. Dieci anni fa, i paesi sviluppati si sono impegnati a fornire 100 miliardi di dollari all’anno per aiutare i paesi in via di sviluppo nella transizione e nell’adattamento ai cambiamenti climatici. L’impegno doveva essere realizzato nel 2020 ma rimane inadempiuto. L’accordo preso al COP26 comporta l’impegno ad andare oltre l’obiettivo di 100 miliardi di dollari “almeno raddoppiando i finanziamenti per il clima da fornire ai paesi in via di sviluppo” entro il 2025. Finora Germania, Svezia e Danimarca sono i paesi che mostrano i maggiori progressi nel fornire il loro giusto contributo monetario, mentre gli Stati Uniti sono decisamente più in ritardo. Detto ciò, nonostante la condivisa convinzione sul fatto che si dovrebbe destinare più risorse alla finanza climatica, manca ancora una definizione standard di cosa includere nella definizione di “climate finance”, come dovrebbe essere erogato il denaro e come valutare se quel denaro è stato speso bene.
  5. Le banche si sono affrettate ad aderire alla Net Zero Banking Alliance (NZBA) prima della COP26. Il testo finale dell’accordo di Glasgow non contiene alcun aggiornamento importante per il settore, nemmeno riguardo il tema cruciale delle politiche di finanziamento del carbone e dei combustibili fossili. Tuttavia, abbiamo visto grandi istituzioni bancarie affrettarsi ad aderire alla NZBA prima della COP26, in particolare JP Morgan, Goldman Sachs, Intesa Sanpaolo e Unicredit. Gli attuali 95 membri della NZBA rappresentano ora il 43% delle attività bancarie globali, sebbene l’alleanza non includa ancora alcuna banca cinese. L’impegno NZBA richiede alle banche di pubblicare gli obiettivi di riduzione dei finanziamenti ai principali settori ad alta intensità di emissione di gas serra per il 2030, entro 18 mesi dall’adesione. BBVA, Morgan Stanley e KBC hanno già aggiunto tale impegno alla loro informativa fissando un obiettivo Net Zero per specifici portafogli. Ciò rafforza lo slancio che abbiamo visto negli ultimi mesi, con sempre più banche che iniziano ad apportare del colore sulle loro emissioni finanziate. In qualità di investitori con un focus storico sul settore bancario, accogliamo con favore questi sviluppi, in quanto ci consentiranno di avere maggiore visibilità e dati concreti sulle emissioni finanziate nello Scope 3 delle banche che deteniamo nei nostri portafogli.

In conclusione, la COP26 è stata un’occasione per ribadire e riaffermare l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, ma gli annunci politici non sono stati all’altezza di quanto necessario al raggiungimento dell’obiettivo. La prima menzione in assoluto del carbone in un documento da parte della United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC) è certamente una buona notizia, ma il linguaggio è poco ambizioso e la timeline poco chiara. L’impegno sul metano è importante, ma i maggiori responsabili delle emissioni resistono ad aderirvi. L’impegno per le finanze per il clima è significativo, ma la sua efficacia dipenderà dall’effettiva velocità di implementazione, che finora è stata deludente. Le banche sono diventate sensibili al tema e stanno agendo, ma abbiamo bisogno di più concretezza sulle politiche di finanziamento al settore dei combustibili fossili. Così, la COP26 ci lascia con un agrodolce retrogusto di un’occasione mancata: come troppo spesso in passato si è detto tanto ma non si è fatto abbastanza. Testa alla COP27, sperando che i leader si rendano conto che, citando l’attivista per il clima Greta Thunberg, non esiste un pianeta B(-lah Blah Blah).

Silvia MERLER Head of ESG and Policy Research, Algebris Investments

Ginevra BARGIACCHIESG Analyst, Algebris Investments


Fonti
Immagine 1. Fonte: Climate Action Tracker – Dati al 15/11/2021
Immagine 2. Fonte: OECD – Dati al 15/11/2021


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