Crisi energetica – Scorte per l’inverno
Una profonda crisi energetica si aggiunge alla lista dei colli di bottiglia nella supply chain. Le interruzioni della produzione nei paesi nordici e la riduzione dei flussi dalla Russia stanno limitando l’offerta di gas naturale in tutta Europa. La carenza è particolarmente profonda nel Regno Unito, dove la mancanza di camionisti indotta dalla Brexit aggrava il problema. Le notizie sullo shortage hanno portato disordini sia nei governi che tra i cittadini, alimentando ulteriormente le pressioni sui prezzi. Di conseguenza, i prezzi dell’energia sono schizzati alle stelle: le quotazioni del gas naturale sono raddoppiate nell’ultimo mese e quadruplicate da aprile. La crisi sta gradualmente colpendo tutte le materie prime, con il Brent in rialzo del 20% dai minimi di agosto. Poiché i colli di bottiglia richiedono tempo per risolversi e l’inverno sta per iniziare, il divario tra domanda e offerta è destinato ad aumentare e le pressioni sui prezzi potrebbero persistere. Nonostante l’energia rappresenti un grande peso nel paniere dell’inflazione, la maggior parte dei contratti energetici sono regolamentati. Ciò protegge i consumatori se gli aumenti saranno transitori. Tuttavia, alla scadenza della fissazione del prezzo nei contratti, l’inflazione del gas diventerà tangibile nelle bollette, con conseguenze negative sui livelli dei prezzi generali e sul potere d’acquisto dei consumatori. L’inizio dell’inverno può quindi significare che la pressione sull’offerta inizia a influenzare l’inflazione e la crescita in modo più marcato.
Tassi – Pronti a combattere l’inflazione
Le ultime due settimane hanno visto una forte rivalutazione dei tassi, portando i Treasury USA vicino ai massimi, in rialzo di 25 pb a quasi l’1,55% (alcuni inasprimenti li hanno riportati appena sotto l’1,5% negli ultimi giorni). Tale movimento segue le maggiori preoccupazioni per la carenza di energia, oltre che alcune dichiarazioni hawkish da parte della Fed. In effetti, i breakeven dell’inflazione si sono mossi a malapena, il che suggerisce che i mercati stanno riprezzando una politica più restrittiva a causa dei recenti aumenti dell’inflazione. Il prossimo perno per il mercato saranno i Non Farm Payrolls (NFP) di questo venerdì, poiché Powell ha esplicitamente collegato i passaggi di politica monetaria alla salute dei mercati del lavoro. Un buon dato sugli NFP potrà dare il via libera al tapering già a novembre. Con le previsioni di inflazione della Fed sui rendimenti a lungo termine dell’1%, riteniamo che un tapering completo entro la metà del 2022 non sia correttamente prezzato dal mercato, e che i tassi globali abbiano più spazio per ampliarsi nei prossimi mesi. Come da noi già affermato a maggio, gradualmente, anche la Fed sta riconoscendo che le attuali tendenze dell’inflazione non sono poi così temporanee come sostenevano. Inoltre, altre banche centrali globali continuano a diventare più aggressive. Oltre a quella norvegese, la Bank of England (BOE) e la Central Bank of Brazil (BCB) nella scorsa settimana, questa settimana la Czech National Bank (CNB) ha registrato un aumento di 75 pb, il Banxico messicano di 25 pb e il Banrep colombiano ha iniziato un nuovo ciclo di rialzi.
Mercati – La rotazione continua
Tassi più alti stanno causando una certa volatilità nei mercati. Analogamente a quanto accaduto a febbraio, quando il selloff dei tassi ha portato vantaggi al credito e le azioni hanno iniziato a soffrire. Nella settimana terminata il 24 settembre, ad esempio, gli Exchange Traded Fund (ETF) che seguono le obbligazioni dei mercati emergenti hanno subito un deflusso di 600 milioni di dollari, la cifra più alta degli ultimi sei mesi. Ad eccezione della Cina, i deflussi dagli indici azionari e dal credito ad alto rendimento sono stati più contenuti. Anche i movimenti nei prezzi degli assets sono stati superficiali. Il costo della protezione agli indici di credito high yield in Europa e negli Stati Uniti è aumentato di 20-30 pb, ma è ancora inferiore di 75-100 pb rispetto a un anno fa, con livelli vicini ai minimi degli utlimi 5 anni. Le azioni statunitensi sono in calo del 5% rispetto ai massimi, ma si trovano ancora a livelli del 15% superiori rispetto all’inizio dell’anno. La volatilità delle azioni e dei tassi ha registrato un bel balzo in avanti, ma si trova ancora nella parte bassa della fascia degli ultimi 5 anni. Nel complesso, l’aggiustamento dei tassi è stato rapido ma contenuto, il che non è stato sufficiente a rendere interessanti certi livelli in mercati con un alto costo del rischio. I dati di posizionamento non mostrano una marcata riduzione del rischio, ma soprattutto una rotazione dagli asset della banca centrale (come i tassi e il credito IG) agli asset dell’inflazione (come le azioni value e le materie prime). Gli investitori sembrano indecisi tra uno scenario di reflazione e uno di stagflazione. I tassi scendono in entrambi gli scenari, ma il rischio è sostenibile nel primo ma non nel secondo. I NFP (Non Farm Payrolls) di questa settimana e gli sviluppi sulle catene di approvvigionamento saranno la chiave per permettere al mercato di far luce tra i due scenari.

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