ESG & Policy Research

The Green Leaf | Il regolamento UE sui rating ESG: una svolta epocale?

Il termine “ESG” è sempre più criticato, venendo spesso additato come termine prettamente “di moda”. Sebbene queste critiche siano in gran parte riconducibili a divisioni ideologiche e politiche, riteniamo che lo scetticismo non sia del tutto fuori luogo. Gli investitori stanno sviluppando una forte dipendenza verso i rating ESG come indicatori di sostenibilità aziendale, che può risultare ingiustificata e pericolosa se si considerano le evidenti carenze e la dubbia validità metodologica. L’Unione Europea (UE) ha recentemente annunciato l’introduzione di una regolamentazione sulle attività di rating ESG, con l’obiettivo di aumentare la fiducia degli investitori nei prodotti sostenibili e ridurre il rischio di greenwashing. Si tratta di uno sviluppo positivo, che permetterà di migliorare la trasparenza e rendicontabilità nella produzione dei rating ESG, ponendo i fornitori sotto la supervisione dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA). Nonostante ciò, riteniamo che tale proposta non affronti adeguatamente i difetti strutturali dei rating ESG, e pertanto, sarebbe auspicato un intervento più incisivo per rafforzare il quadro dei rating di sostenibilità, al fine di allinearlo con gli obiettivi del Piano d’azione dell’UE per la finanza sostenibile.

Un settore in espansione…

Il settore degli investimenti sostenibili ha acquisito un’enorme importanza negli ultimi anni. A livello globale, vi sarà un aumento da parte dei gestori patrimoniali per quanto riguarda gli asset in gestione (AuM) legati all’ESG, che dovrebbero raggiungere i 30.000 miliardi di euro entro il 2026 (il 21% degli AuM globali). Considerando ciò, il mercato dei dati e dei rating ESG è in piena espansione, con le società specializzate che hanno generato ricavi per quasi 1 miliardo di euro solo nel 2021. Si stima che le società quotate in borsa spendano in media tra i 200.000 e i 450.000 euro all’anno per i costi legati ai rating ESG, e che gli investitori istituzionali paghino quasi un milione di euro per la raccolta, l’analisi e la rendicontazione delle metriche ESG. L’Europa – una delle giurisdizioni più avanzate in materia di finanza sostenibile – rappresenta il 60% della spesa globale per i dati ESG.

Tali dati hanno assunto un ruolo sempre più centrale nel processo decisionale di investimento. Da una recente indagine dell’ESMA è emerso che i rating ESG e/o i prodotti di dati ESG sono utilizzati come input per 3,8 trilioni di euro di investimenti (il 48% degli AuM totali del campione), dimostrando la grande influenza sulle decisioni di investimento e sull’allocazione del capitale da parte delle società che producono i rating ESG.

…con difetti strutturali…

Gli investitori sono diventati dipendenti dai rating ESG, che costituiscono per loro una guida per individuare le aziende che si orientano verso pratiche sostenibili. Ma l’affidabilità di questi punteggi come indicatori di sostenibilità aziendale è messa a dura prova da diversi difetti strutturali.

  • I rating ESG nprodotti da diversi fornitori per la stessa società sono incoerenti.

Utilizzando una matrice di correlazione a coppie, abbiamo intrapreso uno studio comparativo dei singoli rating di ogni società dell’S&P 500 prodotti da 4 diversi fornitori. Incrociando ogni rating con gli altri tre, abbiamo calcolato i coefficienti di correlazione (Pearson) per ogni coppia di fornitori di rating ESG.

I risultati (figura 1) mostrano notevoli discrepanze tra diverse valutazioni della stessa azienda. Nonostante siano stati identificati molti casi in cui i rating della stessa società forniti da fornitori diversi rientravano negli stessi quartili della distribuzione dei punteggi – il che indica che le società sono state valutate in modo simile, in termini relativi – i coefficienti di correlazione sono rimasti al di sotto di 0,7. Le correlazioni tra le valutazioni fornite da S&P Global, Refinitiv e Bloomberg tendono a essere relativamente più elevate (superiori a 0,5), mentre le valutazioni di Clarity AI sulle società SPX sono risultate piuttosto lontane ripetto alle altre (figura 1).

Figura 1: Correlazione di coefficienti di Pearson dei fornitori di rating
Fonte: (Algebris Investments sulla base dei dati S&P Global, Bloomberg, Refinitiv e Clarity AI. Dati al 01/03/2023

Sebbene la differenza tra i rating ESG prodotti da diversi fornitori per la stessa società sia un fatto ben noto, meno chiara è l’origine di tale divergenza. Berg et al. (2019) scompone questa differenza in ambito, peso e misurazione. Esaminando le discrepanze, emerge che non si tratta di una diversa ponderazione dei fattori E/S/G, ma di un disaccordo fondamentale sul modo in cui i fattori sottostanti vengono misurati e valutati. I diversi fornitori di rating ESG sembrano misurare in modo diverso la performance di una stessa azienda in determinate categorie, in particolare nelle aree molto sensibili della gestione del rischio climatico, della sicurezza dei prodotti, della governance aziendale, della corruzione e del sistema di gestione ambientale. Questo problema di quantificazione risulta problematico nel momento in cui l’obiettivo è quello di avere rating ESG basati su osservazioni oggettive che possono essere accertate. Berg et al. (2019), inoltre, sostiene che esiste un “effetto rater”: ossia, quando un’agenzia di rating assegna a un’azienda un buon punteggio in una categoria, tende ad assegnare a quell’azienda un buon punteggio anche in altre categorie. Questo effetto suggerisce che la divergenza delle misurazioni non è una casualità ma che i modelli influenzano le modalità di valutazione delle imprese.

  • I rating ESG non sono un buon indicatore dei fondamenti della sostenibilità e dell’impatto di un’azienda.

Un’analisi sulla correlazione tra i rating ESG e i parametri fondamentali di sostenibilità mostra che gli investitori dovrebbero essere cauti nell’interpretare i rating ESG come indicatori di sostenibilità di un’azienda. La Figura 2 evidenzia la relazione tra i punteggi ambientali (E) delle società del settore dei servizi di pubblica utilità e la quota di energia rinnovabile delle stesse società rispetto alla produzione totale di energia. Se i punteggi misurassero davvero la sostenibilità di un’azienda, ci aspetteremmo una forte correlazione positiva tra queste due variabili: intuitivamente, le aziende di servizi pubblici che generano una quota maggiore di energia da fonti rinnovabili sono più allineate con gli obiettivi di “‘net zero'” rispetto a quelle che si affidano maggiormente ai combustibili fossili. Tuttavia, la correlazione tra la quota di produzione di energia rinnovabile delle aziende e il loro punteggio E appare molto debole nei dati.

Figura 2: Correlazione tra il punteggio ambientale (E) e la quota di produzione di energia rinnovabile delle aziende del settore delle utilities
Fonte: Algebris Investments sulla base dei dati di S&P Global. Dati al 13/02/2024

Una corretta analisi delle garanzie di sostenibilità dei settori ad alta intensità di emissioni è fondamentale in un’ottica di transizione verso le emissioni zero. Sebbene le loro principali attività commerciali presentino in media un’alta intensità di gas serra, le aziende di servizi pubblici sono fondamentali per il funzionamento, la diffusione e l’integrazione di fonti energetiche pulite e per il rinnovamento delle reti elettriche. Per queste aziende, l’esistenza di tali trade-off rende particolarmente difficile la gestione interna degli impatti ambientali e sociali. Infine, poiché alcune società di servizi pubblici sono di proprietà dello Stato, la trasparenza della loro divulgazione può essere più difficile, il che rafforza la necessità per gli investitori di affidarsi a valutazioni di esperti terzi per valutare la sostenibilità dal punto di vista dell’investimento. Tuttavia, la correlazione a coppie dei rating ESG delle società di servizi pubblici di diversi fornitori è particolarmente bassa (la più bassa tra tutti i settori GICS, figura 3).

Figura 3: Coefficienti di correlazione dei rating ESG di ciascuna coppia di fornitori di rating per settore GICS
Fonte: Algebris Investments sulla base dei dati S&P Global, Bloomberg, Refinitiv e Clarity AI. Dati al 01/03/2023
  • La maggior parte dei rating ESG attualmente non adotta un approccio alla sostenibilità basato sulla doppia materialità

Negli ultimi anni, il quadro normativo dell’UE ha incorporato il concetto di doppia materialità sia nella rendicontazione aziendale che in quella finanziaria. Il regolamento UE sulla divulgazione della finanza sostenibile (SFDR) impone agli investitori di rendere noti gli impatti negativi dei loro investimenti sull’ambiente e sulla società, mentre la direttiva UE sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale (CSRD) richiederà alle aziende di riferire sia l’impatto dei fattori non finanziari sui loro bilanci, che l’impatto delle loro attività sull’ambiente e sulla società. Questi requisiti saranno presto integrati negli European Sustainability Reporting Standards (ESRS), che stabiliranno un quadro di rendicontazione basato sulla doppia materialità.

La maggior parte dei provider di rating ESG, tuttavia, non applica un approccio di doppia materialità nei propri rating. Tra i provider intervistati nella sezione precedente, solo S&P Global adotta esplicitamente un approccio di doppia materialità nel suo punteggio ESG – “in base al quale una questione di sostenibilità è considerata materiale se presenta un impatto significativo sulla società o sull’ambiente e un impatto significativo sui driver di valore, sulla posizione competitiva e sulla creazione di valore per gli azionisti a lungo termine di un’azienda“. Sia MSCI che Sustainalytics – le due maggiori società di rating ESG a livello globale – sono chiare nella loro metodologia: i loro punteggi ESG si basano su un unico approccio di materialità, volto a misurare solo l’esposizione finanziaria delle società ai rischi ESG.

Questa situazione è in parte espressione di un più profondo divario “transatlantico”. Negli Stati Uniti, la questione delle informazioni sulla sostenibilità è molto più controversa che in Europa. Nel marzo 2022 la Securities and Exchange Commission (SEC) statunitense ha pubblicato la sua proposta di regole di divulgazione sul clima, che prevede un unico approccio di materialità e richiede alle aziende statunitensi di fornire informazioni sui rischi climatici che le loro attività stanno affrontando. Questa proposta ha suscitato numerose contestazioni facendo sì che la SEC ne ritardasse la finalizzazione, prevista per la primavera del 2024.

L’Europa è stata pioniera nel settore dei rating ESG, ma negli ultimi anni il settore ha subìto un notevole consolidamento e molte società europee sono state acquisite da agenzie di rating statunitensi. L’invito dell’ESMA a fornire prove sui rating ESG mostra che le società statunitensi MSCI e Sustainalytics sono i due fornitori di rating e dati ESG più utilizzati. Dati i diversi approcci di rendicontazione dei dati sulla sostenibilità tra Stati Uniti ed Europa, la concentrazione geografica delle società di rating ESG incentrata sugli Stati Uniti e l’eccessiva dipendenza dai fornitori statunitensi possono diventare problematici dal punto di vista europeo.

Figura 4: Esempi di consolidamento nel mercato dei rating ESG
  • I rating ESG rischiano di essere sistematicamente penalizzanti nei confronti delle piccole e medie imprese (PMI)

In linea di principio, la sostenibilità e le dimensioni dell’azienda non dovrebbero presentare alcuna correlazione significativa, poiché non vi è alcuna ragione evidente per cui una grande azienda dovrebbe essere più “sostenibile” di una piccola. Tuttavia, se si considerano i rating ESG, questa correlazione appare molto chiaramente nei dati. La Figura 5 mostra la valutazione mediana ESG di circa 12.000 aziende, suddivise in decili di capitalizzazione di mercato. Si evince dunque che le dimensioni contano chiaramente: il punteggio mediano del 10% delle aziende più grandi per capitalizzazione di mercato è più del doppio del punteggio mediano del 10% delle aziende più piccole del campione.

La maggior parte dei fornitori di rating ESG opta per una raccolta di dati basata su un questionario e adotta lo stesso approccio per i dati mancanti, considerando ogni informazione non trasmessa come un punteggio pari a 0 nel contesto del calcolo del rating. Questo approccio può facilmente tradursi in una penalizzazione per chi risponde per la prima volta, che potrebbe non avere ancora le capacità di raccogliere tutti i dati richiesti. Questo effetto è esacerbato per le aziende più piccole, che tendono a disporre di minori risorse e capacità di raccolta dati..

Questo comporta inevitabilmente che le PMI ricevano sistematicamente punteggi bassi, giustificati non tanto da questioni ESG rilevanti per la loro attività, quanto piuttosto da un’informativa incompleta. Alcune società con rating ESG che hanno risposto all’invito dell’ESMA hanno inoltre evidenziato la mancanza di comunicazione con i fornitori di rating ESG. Per quanto riguarda i rating non richiesti, le società non vengono informate della pubblicazione e solo in casi limitati possono fornire un feedback ai fornitori di rating ESG, compromettendo così anche l’opportunità di segnalare gli errori quando vengono individuati. Gli intervistati hanno inoltre segnalato difficoltà nel ricevere motivazioni oggettive per i rating assegnati e hanno osservato che, quando viene data la possibilità di segnalare un feedback, il processo è lento, difficile e lungo.

In questo contesto, vediamo il rischio che una disinformata e indiscussa considerazione dei rating ESG nelle strategie di investimento possa portare a una cattiva allocazione del capitale a livello aggregato. Nel tentativo di raggiungere un punteggio ESG medio più alto per i loro portafogli, gli investitori potrebbero dirottare i capitali dalle PMI (relativamente meno coperte e con un rating relativamente più basso) verso le imprese più grandi. Anziché consentire alle PMI innovative e orientate alla sostenibilità di accedere a un bacino di finanziamenti diversificato – un obiettivo fondamentale del progetto dell’Unione dei mercati dei capitali dell’UE – il sistema attuale potrebbe produrre il risultato opposto..

Figura 4: Esempi di consolidamento nel mercato dei rating ESG
Fonte: Algebris Investments sulla base dei dati S&P. Dati al 13/02/2024

…che puo’ essere risolto!

Nell’ambito del Piano d’azione dell’UE per la finanza sostenibile, la valutazione della sostenibilità nel processo decisionale di investimento è destinata a crescere ulteriormente. Per gli investitori sarà fondamentale poter contare su dati e metriche che offrano una rappresentazione realistica delle caratteristiche di sostenibilità delle società partecipate.

Sebbene molti si aspettino che i rating ESG assolvano tale scopo, attualmente non è così. I rating ESG prodotti da diversi fornitori per la stessa società sono spesso incoerenti e mostrano una debole correlazione con misure oggettive dei fondamentali della sostenibilità (Philip Morris che riceve un rating ESG più alto di Tesla è un esempio importante, ma non affatto isolato). Inoltre, i rating ESG possono essere sistematicamente distorti nei confronti delle società più piccole, introducendo così un rischio di cattiva allocazione del capitale.

La proposta di regolamento UE sui rating ESG introduce importanti tutele. I rating ESG dovranno ottenere l’autorizzazione dell’ESMA o l’avallo di un fornitore di rating ESG autorizzato dall’UE. La regolamentazione sui potenziali conflitti di interesse dei provider di rating ESG viene rafforzata, così come i requisiti di trasparenza sia per i produttori che per gli utenti dei rating ESG.

Il regolamento, tuttavia, non stabilisce i requisiti minimi per la vendita dei rating ESG in Europa. Pur comprendendo la riluttanza delle autorità europee a interferire con la tutela della proprietà intellettuale e la libertà delle aziende private di strutturare al meglio il proprio modello di business, riteniamo che questa sia un’occasione mancata. Le diverse metodologie esclusive potrebbero essere mantenute, purché siano rispettati i requisiti minimi che garantiscono che i diversi sistemi di rating producano comunque valutazioni ESG significative e utili per le decisioni, senza offuscare le reali credenziali di sostenibilità delle aziende.

A nostro avviso, i fornitori di rating ESG dovrebbero essere tenuti a utilizzare un approccio a doppia rilevanza per i rating ESG che intendono vendere in Europa. Cio’ allineerebbe i rating con l’approccio alle informazioni sulla sostenibilità aziendale che l’UE sta adottando con l’SFDR e il CSRD. Una volta disponibili, riteniamo che i dati delle comunicazioni CSRD debbano essere utilizzati come dati grezzi primari per i rating ESG da vendere in Europa. Inoltre, i Principal Adverse Impact indicators (PAI) dell’UE dovrebbero essere integrati nel processo di rating, in quanto costituiscono un quadro intuitivo per valutare l’elemento “inside-out” della doppia materialità, ossia l’impatto che un’azienda ha su fattori non finanziari.

I fornitori di rating ESG dovrebbero essere autorizzati a mantenere il pieno controllo metodologico su come implementare un approccio di doppia materialità e su come considerare gli impatti negativi nei loro rating. Tuttavia, l’introduzione di questi requisiti minimi consentirebbe agli investitori di affidarsi ai rating ESG come proxy della sostenibilità aziendale in base a una doppia materialità e i rating risultanti sarebbero coerenti con l’obiettivo del Piano d’azione dell’UE per la finanza sostenibile.

Il regolamento europeo afferma che i provider “dovrebbero essere incoraggiati” ad affrontare entrambi gli aspetti del principio della doppia materialità e dovrebbero dichiarare il tipo di approccio adottato (di doppia o singola materialità), senza tuttavia formulare alcuna raccomandazione. Come discusso in precedenza, tuttavia, la trasparenza rappresenta solo una parte del problema e la maggior parte dei provider di dati ESG dichiara già di applicare un approccio di doppia o (più frequentemente) di singola materialità. Pertanto, è improbabile che l’imposizione di una maggiore trasparenza faccia una differenza sostanziale nel garantire l’affidabilità e l’utilità decisionale di questi prodotti.

Nel complesso, l’utilizzo di una metodologia di rating comune consentirebbe di raggiungere un consenso su un quadro realistico della sostenibilità aziendale, producendo piu’ valore rispetto al sistema attuale. Poiché il rischio di reazioni negative alle iniziative di sostenibilità è in aumento, in parte a causa delle preoccupazioni di greenwashing, riteniamo che il rafforzamento del quadro di riferimento per i rating e le valutazioni di sostenibilità sarà fondamentale per raggiungere gli obiettivi prefissati dall’UE nel Piano d’azione per la finanza sostenibile.


Silvia Merler
Head of ESG & Policy Research

Iacopo Esposito
ESG Analyst


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