
Tutti gli investitori si trovano, oggi, sulla stessa barca? In un certo senso sì: devono prendere decisioni di notevole importanza in un momento storico in cui i principali trend macroeconomici stanno cambiando.
Per quanto riguarda l’inflazione, questa non crollerà magicamente nei prossimi mesi, nonostante i recenti lockdown che stanno paralizzando la Cina e la sua economia o il conflitto russo-ucraino. Anzi, ad onore del vero, entrambi questi eventi, nonostante gli shock legati alla crescita che causeranno, sono inflazionistici. Il dilemma a cui gli investitori devono fare fronte riguarda, quindi, il duplice timore per un’inflazione che non mostra segnali di rallentamento e per una potenziale recessione nei prossimi mesi. Il modo in cui ci si porrà di fronte a ciascuno di questi due timori, determinerà le prospettive d’investimento dei partecipanti ai mercati finanziari.
Nel nostro ultimo Algebris Bullet “Wartime Economics”, abbiamo approfondito alcuni dei driver sottostanti all’inflazione che causeranno una persistenza della spinta inflattiva superiore rispetto a quella attualmente prezzata dal mercato e, inoltre, tramite appositi modelli abbiamo analizzato la probabilità che si verifichi una recessione nei prossimi 6, 12, 24 e 36 mesi, in Europa e negli Stati Uniti.
La globalizzazione è stata il fenomeno protagonista degli ultimi 30 anni, i cui aspetti indesiderati, secondo le nostre analisi, si traducono nel fatto che la Cina detiene una quota di mercato del 30% dei semiconduttori, mentre la Russia mantiene il 20% del mercato del gas naturale. Le vulnerabilità dei Paesi Occidentali, di conseguenza, sono aumentate. Una delle dirette conseguenze di un simile contesto è che l’Europa ha iniziato a ripensare e riorganizzare la propria difesa e sicurezza energetiche. Le soluzioni che verranno implementate, tuttavia, genereranno inflazione a breve, medio e lungo termine, a maggior ragione se si considera l’accelerazione della Green Transition sperimentata nel Vecchio Continente. Anche gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno iniziato ad investire somme sempre più consistenti nella produzione di componenti high-tech. La globalizzazione, quindi, sembra aver raggiunto il suo culmine. E questo, per i motivi esposti poc’anzi, crea un impulso inflazionistico a lungo termine.
Nel mese di marzo, il dato dell’inflazione in Europa è salito al 7,5% (con i tassi d’interesse ancora a -0,5%, la BCE ha molto lavoro da fare), ma gli impatti indiretti di un tale livello inflattivo devono ancora essere visti. Tuttavia, con il dato sulla disoccupazione nell’UE che è il più basso mai riscontrato dal momento della sua creazione, ci aspettiamo alcune richieste di aumento dei salari nei mesi a venire. Allo stesso modo, lo shock dei prezzi delle materie prime non si riassorbirà a breve, sia che si tratti di beni agricoli, di energia o di metalli preziosi/ di base.
Gli investitori, naturalmente, guardano con crescente preoccupazione allo shock che l’inflazione provocherà sulla crescita e alla recessione che ne potrebbe scaturire, visto che il reddito disponibile delle famiglie e i margini delle aziende si stanno progressivamente riducendo. Tuttavia, considerando il forte slancio di crescita che ha fatto seguito all’ultima ondata di Covid, riteniamo improbabile una recessione nel breve termine. Nonostante la recente moderazione (la previsione del consensus per il PIL europeo per il 2022 è scesa dal 4% al 2,8%), infatti, i PMI (Purchasing Managers Index) rimangono in territorio espansivo e i tassi di disoccupazione stanno toccando i minimi storici. Si consideri che, inoltre, le famiglie dispongono di quantità significative di risparmi in eccesso sia negli Stati Uniti che in Europa, rispettivamente pari a $2,5 trilioni e €1 trilione (The Algebris Bullet, aprile 2022). Tale situazione dovrebbe aiutare ad ammortizzare lo shock dei prezzi delle materie prime.
Sono sempre di più, oggigiorno, gli investitori che si rendono conto che il settore bancario beneficia di tassi d’interesse più alti, mentre il settore assicurativo beneficia di rendimenti più alti a lungo termine. Da un’analisi da noi condotta, emerge che i profitti delle banche possono aumentare del 20% – 50% in seguito ad un aumento di 100 pb dei tassi d’interesse e tale circostanza verrà sperimentata dapprima negli Stati Uniti e nel Regno Unito e, successivamente, in Europa. Nell’attuale contesto di mercato, stiamo trovando titoli bancari con valutazioni molto attraenti sia negli Stati Uniti che in Europa, con dividend yield che si aggirano al 7% e oltre. Nell’ultimo mese, inoltre, gli istituti bancari di entrambe le aree geografiche, hanno anche emesso obbligazioni subordinate con rendimenti intorno al 6%-7%.
In un mondo in cui gli investitori stanno riposizionando i propri portafogli per proteggersi dall’inflazione imperante e dagli aumenti dei tassi di interesse che si susseguiranno nei prossimi mesi, crediamo che ci siano interessanti opportunità d’investimento sia nel mercato obbligazionario che in quello azionario. L’equity finanziario e le obbligazioni subordinate sono due esempi di come poter contrastare la pressione inflattiva a cui le economie mondiali sono esposte.
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